L’economia rallenta ma le Borse corrono grazie alle banche centrali. Quanto durerà?

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Ma in un mercato sempre più dipendente dallo stimolo monetario il rischio è che le banche centrali non siano più in grado di dare le risposte che il mercato si aspetta

di Andrea Franceschi

Il 2019 si sta confermando un’annata molto positiva per i mercati finanziari. Materie prime, mercati emergenti, bond, azioni… Quasi tutte le classi di investimento stanno mettendo a segno performance notevoli. Un trend che risulta in netto contrasto con quanto visto nella seconda metà del 2018 quando accadde esattamente l’opposto. Questi rialzi sostenuti degli indici non riflettono tuttavia un miglioramento delle prospettive dell’economia mondiale che, anzi, sono in netto peggioramento.

Lunedì sono state pubblicate le ultime rilevazioni sull’andamento del Pil in Cina che, nel secondo trimestre di quest’anno, ha fatto registrare il peggior tasso di crescita da 27 anni a questa parte. Segnale che il clima di incertezza alimentato dalla guerra commerciale con gli Stati Uniti inizia a far sentire i suoi effetti. E l’incognita dazi potrebbe condizionare i conti trimestrali che le grandi società quotate.

Le prime avvisaglie in Europa non sono buone. Nei giorni scorsi due colossi del made in Germany del calibro di Basf e Daimler hanno rivisto al ribasso le loro stime sugli utili citando proprio l’incognita dazi come fattore chiave del “profit warning”. I mercati però continuano ad avere il vento in poppa: Wall Street viaggia sui massimi storici e le Borse europee stanno facendo registrare performance molto positive da inizio anno. Come mai?

Il paradosso si spiega alla luce delle mutate aspettative sulla politica monetaria. Fino a novembre dello scorso anno la Fed diceva di voler alzare i tassi. Oggi è invece pronta a tagliarli. La Bce da parte sua ha messo da parte ogni velleità di “normalizzazione” monetaria e Draghi ha fatto capire di essere pronto a rispolverare l’arma del Quantitative easing per stimolare l’economia mondiale. Non solo. Il compromesso raggiunto in sede europea sul nome di Christine Lagarde per la successione a Draghi ha di fatto contribuito ad allontanare la prospettiva di un “falco” come il tedesco Jens Weidmann alla guida della Bce contribuendo a mantenere alta la propensione al rischio degli investitori già favorita dalla scommessa su un taglio del costo del denaro da parte della Fed.

La prospettiva di una nuova fase di “denaro facile” per un mercato probabilmente assuefatto da anni di stimoli monetari senza precedenti è alla base della performance positiva che si è registrata nella prima metà dell’anno. E si è tornati al paradosso, più volte sperimentato in questi anni, per cui, a fronte di un dato macroeconomico negativo, gli indici reagiscono bene perché prefigurano una politica monetaria espansiva.

La domanda chiave in questa fase è: per quanto ancora la scommessa sulla politica monetaria riuscirà a compensare la zavorra di una congiuntura globale in chiaro peggioramento? Molto dipenderà dalla misura in cui questi due fenomeni riusciranno a controbilanciarsi. Se arriverà una recessione a livello globale (ipotesi per il momento fuori dai radar) i mercati non potranno continuare a far finta di niente. D’altro canto è anche vero che non si potrà neppure farsi trovare impreparati qualora le banche centrali decideranno di usare l’artiglieria forte mettendo in atto nuove misure di stimolo per contrastare un’eventuale frenata.

Ma quante munizioni sono rimaste ai banchieri centrali per fare i conti con una nuova recessione? La Fed in questi anni ha alzato i tassi e ha maggior margine di manovra rispetto alla Bce che ha già un bilancio ai massimi storici e un costo del denaro ai minimi. Finora l’equilibrio ha retto bene ma guardando al futuro non si può non registrare una certa preoccupazione da parte degli investitori a riguardo. Timori ben fotografati dall’ultimo sondaggio tra i gestori condotto da Bank of America Merrill Lynch: il 22% degli intervistati ha indicato nel rischio impotenza delle banche centrali come uno dei fattori a cui prestare maggior attenzione in questa fase. Solo la guerra commerciale preoccupa di più. In un mercato sempre più dipendente dallo stimolo monetario il rischio vero è che le banche centrali non siano più in grado di dare le risposte che il mercato si aspetta.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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