Pubblicità online, quanto vale nel 2019
Da undici anni, e non è una sorpresa, la pubblicità online continua a crescere. A fine 2019 si stima che possa raggiungere investimenti per 3,3 miliardi di euro. Conquista il 40 per cento della raccolta complessiva, era il 37 per cento nel 2018. Non è ancora la prima forma di advertising nel Bel Paese: rimane valida la supremazia della tv, che ha una fetta del 44 per cento. Comunque, in discesa del 2 per cento rispetto al 2018. Il confronto è significativo perché il totale della raccolta è costante tra questo e l’anno scorso: 8,2 miliardi di euro. Altre evidenze dicono che pure la radio è stabile (5 per cento), mentre la carta stampata arretra di un punto, passando dal 12 all’11 per cento. Sono queste le conclusioni principali contenute nella ricerca dell’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano presentata durante l’edizione 2019 dello IAB Forum, il più importante evento italiano sulla comunicazione digitale.
Il decollo del video
Per quello che riguarda la segmentazione delle proposte pubblicitarie, l’innovazione vale fino a un certo punto. Anzi, a prevalere sono forme classiche come i banner, gli spazi ritagliati dentro i social network e immediati dintorni che assorbono il 63 per cento del mercato. In questo ambito, occorre segnalare che i video pesano del 20 per cento in più. Tutto molto coerente con le proposte di contenuti sulle varie piattaforme, che stanno virando sempre più sul linguaggio visivo. Più dietro si posizionano le pubblicità che riflettono le nostre ricerche. Andiamo a caccia di un albergo, un ristorante, un qualsiasi argomento e ci ritroviamo degli annunci che hanno a che fare con una nostra specifica manifestazione d’interesse, non un profilo predeterminato dei nostri gusti. Qui siamo al 28 per cento.
La promessa dell’audio
Abbiamo già detto del ruolo del video. IAB Europe prevede una grande espansione del peso e dell’audio. Come vi abbiamo già raccontato qui, fenomeni come il podcast si stanno ritagliando spazi sempre maggiori nelle nostre abitudini. A questi bisogna aggiungere servizi in streaming quali Spotify, che offrono abbonamenti gratuiti a chi accetta di ascoltare interruzioni pubblicitarie, più tutto il pacchetto derivato dalla digitalizzazione delle classiche radio. Nel 2019 gli investimenti nel comparto digital audio sono stati di 471 milioni di euro. È ragionevole prevedere che andranno a triplicare entro il 2023, toccando quota 1,5 miliardi di euro.
Quasi un monopolio
A corredo di queste indicazioni, c’è un fattore importante da rilevare. Per quanto la fetta della pubblicità online s’ingrossi, rimane un affare per pochi. Chi siano, anche qui, nessuna sorpresa: parliamo del trio composto da Google, Facebook e Amazon, che assieme si mangiano (il termine è inelegante ma calzante) più del 76 per cento del mercato, in leggero aumento rispetto al 2018, in robusta crescita rispetto al 2015, quando si fermavano al 65 per cento. Dire che gli altri attori si dividano le briciole è forse eccessivo, ma lo sbilanciamento rimane innegabile. Sul punto non ci è andato leggero Carlo Noseda, presidente di IAB Italia. «La crescita del predominio dei colossi della rete» ha spiegato «ha creato una situazione di mercato non più sostenibile per le aziende che rappresentiamo come associazione. Come sollecitato in diverse occasioni, urge un intervento normativo atto a riequilibrare gli attuali assetti concorrenziali e permettere a tutti gli operatori – editori, concessionarie, agenzie specializzate e ad-tech company – di giocare alla pari con chi come Facebook e Google può avanzare tecnologicamente contando su ingenti risorse finanziarie accumulate grazie a un gettito fiscale pari a nulla».
Fonte: Panorama.it