La pubblicità online è sempre più mirata: ecco perché la competizione tra network tv è serrata

 La televisione è stata per quarant’anni il principale mezzo pubblicitario. Più della metà di tutti gli investimenti pubblicitari sui mezzi classici di comunicazione (stampa, Tv, radio, affissioni) si indirizzava verso il piccolo schermo. Nel 2013 la Tv aveva una quota di mercato pari al 59%. Negli ultimi anni la situazione è cambiata: il mercato pubblicitario è entrato in crisi e nel contempo è arrivato un nuovo media che ha iniziato a scalzare la Tv, il web.
La crisi economica ha determinato, dagli anni Duemila, il decremento del valore della pubblicità (-4% in media annua dal 2010 per l’intero mercato e -3% per la Tv), anche se, grazie alla nascita di nuovi media, gli spazi pubblicitari sono cresciuti. In sostanza c’è più pubblicità con un valore economico inferiore: le tariffe, il prezzo degli spazi, diminuiscono in relazione anche alla sovrabbondanza dell’offerta.

Dal segno negativo si passa al segno positivo se si considera un nuovo segmento di mercato valutato solo da pochi anni, il digital delle Ott, settore che nel 2019 aumenta di +9%. Le Ott (Over The Top) sono le grandi piattaforme di servizi e contenuti che dominano il mercato globale del web: sono Google (il fatturato del gruppo americano è pari a 120 miliardi di euro), Amazon (203 miliardi), FacebookTwitterInstagram e altri.

La Tv ha ora una quota di mercato del 43%, il digital nel suo complesso (quello delle Ott e quello tradizionale, come i siti d’informazione) del 40%. Il mercato è quindi dominato dai due mezzi, ma mentre la Tv è in fase calante, il web cresce di continuo. La Tv ha trasformato i cittadini in consumatori, il web li sta cambiando in veri e propri acquirenti, visto lo sviluppo degli acquisti online.

Quando nacque Internet, erano in pochi a ipotizzare che sarebbe diventato il principale mezzo pubblicitario, nessuno pensava che saremmo stati tutti profilati. La pubblicità online è sempre più mirata grazie all’analisi dei big data e allo studio del comportamento di chi usa i social. Il web è la pubblicità, e lo sarà ancor più quando saranno affinate le metodiche che misurano le visualizzazioni.

Il web è un immenso negozio virtuale. La crisi economica impone alle famiglie l’esigenza di valutare bene gli acquisti, riponendo al centro delle scelte la qualità e il prezzo. Il ceto medio, obiettivo preferito dei pubblicitari, si sta restringendo, quindi la pubblicità ha bisogno di avere bersagli più delineati ai quali inviare i dettagli sui prodotti e il web permette tutto ciò.

Sia ben chiaro, la Tv rimarrà sempre centrale per la pianificazione pubblicitaria, se non altro per l’ampia platea di chi la guarda: nonostante il costante calo dei telespettatori, il 41% della popolazione in media ogni sera guarda il piccolo schermo. Lo spot televisivo è utile come segnalatore potendo essere visto da numeri elevati di pubblico, per il lancio di un nuovo prodotto, per comunicare il ‘valore d’uso’ dello stesso prodotto: si tratta, come dicono gli esperti, di sollecitare in pochi secondi i sogni degli individui trasformandoli nel desiderio di possedere il prodotto reclamizzato, magari per somigliare ai propri modelli (gli influencer).

Nella stragrande maggioranza dei casi gli inserzionisti utilizzano più veicoli pubblicitari. Il lancio di un nuovo modello di auto, per esempio, utilizzerà inizialmente la Tv e altri mezzi classici (non dimentichiamo le potenzialità della radio, delle affissioni e della stampa) per annunciare l’evento, offrendo nel contempo i ‘valori’ insiti nel possesso dell’auto; il web sarà utilizzato per illustrare le peculiarità tecniche dell’auto.

È prevedibile, per concludere, che il web cresca più degli altri mezzi pubblicitari, più della televisione. Di conseguenza la competizione fra i tre principali network diverrà ancor più serrata e qualcuno potrebbe anche rischiare di essere marginalizzato.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

FCP-Assointernet: a gennaio la pubblicità cresce del 4,9%

Il fatturato è stato di quasi 26 milioni di euro, di cui poco più di 18 milioni raccolti sul desktop e oltre 7,7 milioni di euro sugli smartphone

Archiviato il 2019 con un fatturato pubblicitario in crescita del 3,5%, il mercato online rappresentato dall’Osservatorio FCP-Assointernet apre l’anno ancora con il segno più.

“In un contesto di mercato complesso, registriamo con soddisfazione i dati rilevati dall’Osservatorio FCP-Assointernet nel mese di gennaio, che evidenziano un fatturato in incremento del 4,9%.”, spiega Giorgio Galantis, presidente FCP-Assointernet. “Nella consapevolezza del peso che possa avere questo primo mese, si tratta comunque di una buona partenza”.

A gennaio il fatturato pubblicitario è stato di quasi 26 milioni di euro, di cui poco più di 18 milioni raccolti sul desktop (in linea con il gennaio del 2019) e oltre 7,7 milioni di euro sugli smartphone, in crescita del 15,7%.

“Riteniamo opportuno ricordare, anche in apertura d’anno, come le concessionarie aderenti ad FCP-Assointernet continuino a lavorare, con audience elevate e formati innovativi, su diverse componenti dell’offerta per garantire prodotti sempre più rispondenti ai driver qualitativi del mercato: brand safety, ad fraud, misurabilità di terze parti e trasparenza in primis. Tutto ciò attraverso un dialogo aperto con gli spender e le loro agenzie, così come con le altre associazioni aderenti al Libro Bianco, a riprova che all’interno del perimetro Fcp vi siano tutti i requisiti per poter essere un riferimento ancora più rilevante nelle scelte di investimento di tutte le aziende, dei loro centri media e agenzie, anche e soprattutto in termini di volumi di spesa”.

Fonte: Engage.it

La pubblicità tv rinasce con la realtà aumentata

Una azienda finlandese ha sviluppato un sistema per la gestione digitale degli annunci pubblicitari allo stadio: più personalizzazione, più performance.

a pubblicità televisiva potrebbe compiere un passo avanti, arrivando ad una granularità di distribuzione ben più capillare di quella odierna e potenzialmente in grado di sfidare la pubblicità online. Il che, giocoforza, rappresenterebbe un incredibile boost per le performance degli annunci in tv. Non si sta però parlando della tradizionale inserzione pubblicitaria, quanto delle riprese di eventi live, soprattutto sportivi.

Il trucco è offerto dalla digitalizzazione, dalla realtà aumentata, dalle riprese 4K e da una gestione intelligente dell’immagine.

DBRLive: eventi live, pubblicità custom

Il progetto è nelle mani dell’azienda finlandese Supponor OY, avente focus in realizzazioni per la realtà aumentata, e tutto ruota attorno alla tecnologia proprietaria DBRLive. Si tratta di un’idea supportata – anche finanziariamente – dall’Unione Europea e potrebbe rappresentare un incredibile canale di monetizzazione per gli anni a venire, qualcosa che potrebbe però impattare anche gli attuali equilibri economici di un settore nel quale la pubblicità ha una voce primaria.

La spiegazione è offerta proprio dall’UE: “DBRLive sostituisce digitalmente la pubblicità sui cartelloni pubblicitari durante le trasmissioni sportive in diretta. Personalizza i contenuti pubblicitari con diversi feed video dal vivo dello stesso evento sportivo per un pubblico diversificato in tutto il mondo. Quando i giocatori, la palla o qualsiasi altra cosa ostacola la pubblicità fisica, DBRLive trasmette immagini perfette in tempo reale.”

Esatto: il tradizionale cartellone pubblicitario può essere sostituito da un’immagine alternativa in presa diretta, senza interferenza alcuna con quel che succede in campo. Mentre il cartellone pubblicitario mostra pubblicità utili nello stadio, quindi, la relativa rappresentazione digitale viene proiettata sulle tv in base alle esigenze del momento. Potenzialmente, dunque, il segnale può essere gestito in modo differenziato in differenti paesi, così che l’annuncio possa essere declinato nel linguaggio e sul brand migliore per poter avere maggior efficienza e massima performance. “L’innovazione sta subendo modifiche prima della produzione. Le ottiche esistenti sono in fase di aggiornamento per soddisfare i requisiti 4K e le telecamere NIR sono in fase di aggiornamento per ottenere modelli più sensibili e ad alta risoluzione.”

Fonte: Punto Informatico

Pubblicità fastidiosa, Google elimina 600 applicazioni

Annunci fuori contesto mostrati quando l’utente non usa le app. Risultano essere state installate 4,5 miliardi di volte

Una sforbiciata niente male, che dovrebbe migliorare l’esperienza degli utenti che usano Android. Google ha eliminato dal suo negozio virtuale, il Play Store, circa 600 applicazioni a causa delle pubblicità fastidiose veicolate, fa sapere la compagnia in un post. Le app nel complesso risultano essere state installate 4,5 miliardi di volte.

Le pubblicità fastidiose sono quelle che vengono mostrate agli utenti in modi inattesi, e che interferiscono o addirittura compromettono l’uso delle funzioni dello smartphone. Tra questi annunci, spiega Google, ci sono quelli “fuori contesto”, che gli sviluppatori malintenzionati mostrano quando l’utente non sta usando le loro app. Contro gli annunci fuori contesto, la società californiana evidenzia di aver sviluppato un nuovo approccio che si basa sul machine learning, cioè sull’apprendimento automatico, che ha contribuito all’eliminazione d queste 600 app.

Le frodi legate alla pubblicità su dispositivi mobili “sono una sfida che assume diverse forme con una varietà di metodi, e che ha il potenziale di danneggiare utenti, inserzionisti ed editori”, scrive Google. Nell’ambito di questa lotta, “prendiamo provvedimenti contro chi crea app apparentemente innocue, ma che in realtà violano le nostre norme sugli annunci”.

Fonte: Repubblica.it

Censis: più internet e smartphone. E tra i social YouTube prevale su Facebook

Gli italiani connessi sono passati dal 78,4% al 79,3% della popolazione, con una differenza positiva di quasi un punto percentuale in un anno

Cresce ancora l’utenza di internet in Italia. Una crescista costante. Si è passati dal 78,4% al 79,3% della popolazione, con una differenza positiva di quasi un punto percentuale in un anno. Inoltre: gli italiani che utilizzano gli smartphone salgono dal 73,8% al 75,7% (con una crescita dell’1,9%, quando ancora nel 2009 li usava solo il 15% della popolazione). Quanto ai social network, i più popolari sono YouTube, utilizzato dal 56,7% degli italiani (ma il dato sale al 76,1% tra i 14-29enni), Facebook dal 55,2% (dal 60,3% dei giovani), Instagram dal 35,9% (dal 65,6% degli under 30). WhatsApp è utilizzato dal 71% degli italiani: il 3,5% in più in un anno (si arriva all’88,9% dei 30-44enni, ma si scende al 30,3% tra gli over 65). Sono i dati del 16esimo Rapporto Censis sulla comunicazione, promosso da Agi, Intesa Sanpaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre ed è presentato oggi a Roma presso la Sala Zuccari del Senato da Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, e discusso da Massimo Angelini, direttore Public Affairs, Internal & External Communication di Wind Tre, Salvatore Ippolito, amministratore delegato di Agi, Vincenzo Morgante, direttore di rete e delle testate giornalistiche di Tv2000, Roberto Nepote, direttore Marketing della Rai, Gina Nieri, consigliere di Amministrazione di Mediaset, e Giuseppe De Rita, presidente del Censis.

E’ detto anche che la spesa delle famiglie per i consumi mediatici tra il 2007 (l’ultimo anno prima dell’inizio della crisi) e il 2018 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza essere ancora tornato ai livelli pre-crisi (-2,0% in termini reali è il bilancio nel periodo considerato), le risorse impegnate per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico hanno segnato anno dopo anno un vero e proprio boom, di fatto quadruplicando in valore (+298,9% nell’intero periodo, per un valore di oltre 7 miliardi di euro nell’ultimo anno). La spesa dedicata all’acquisto di computer e audiovisivi ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+64,7%), mentre i servizi di telefonia si sono assestati verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-16,0%, per un valore però di 16,8 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno). Per contro, la spesa per libri e giornali ha registrato un vero e proprio crollo nel decennio: -37,8%. Crollo che però si è arrestato nell’ultimo anno, quando c’è stato invece un rialzo del 2,5%.

Fonte: Repubblica.it

 

Google, freno alle pubblicità invasive nei video su Chrome

Prosegue il giro di vite da parte di Chrome ai sistemi di advertising e di tracciamento ritenuti “sopra le righe”. Dopo il nuovo sistema di classificazione dei cookie, ora il team di sviluppo di Google del browser open source ha focalizzato la sua attenzione anche sulle inserzioni pubblicitarie invasive nei video.

Google ha spiegato che negli ultimi anni si è messa al lavoro per affrontare una lamentela comune tra gli utenti di Chrome: gli annunci pubblicitari fastidiosi e invadenti.

Nel 2018 il team di sviluppo ha iniziato a rimuovere le pubblicità dai siti web che mostrano continuamente ad intrusivi, che violano gli standard del settore. La stessa Google ha inoltre aggiornato le proprie offerte pubblicitarie per garantire che non vengano venduti o pubblicati tipi di ad che gli utenti di Internet trovano particolarmente fastidiosi.

Oltretutto, questo approccio sembra avvantaggiare sia gli utenti che le piattaforme e gli inserzionisti. Infatti, Google evidenzia di aver riscontrato che, da allora, i tassi di blocco degli annunci in Nord America ed Europa sono calati significativamente in Chrome.

Ma come vengono classificati, gli annunci, come “troppo fastidiosi”? Al fine di determinare quali annunci risultano più invadenti per l’esperienza web, Google ha spiegato di fare affidamento sui Better Ads Standards.

La Coalition for Better Ads è stata costituita da associazioni di categoria e società internazionali coinvolte nei media online, al fine di migliorare l’esperienza dei consumatori con la pubblicità online. L’associazione fornisce alle aziende come Google una guida basata sul feedback proveniente da persone di tutto il mondo.

La Coalition for Better Ads, che è per l’appunto il gruppo responsabile dello sviluppo dei Better Ads Standards, ha annunciato una nuova serie di standard per gli annunci che vengono mostrati durante i contenuti video, stilati sulla base di una ricerca che ha coinvolto 45.000 consumatori in tutto il mondo.

Google ha illustrato le principali indicazioni della ricerca. Esistono molti tipi diversi di annunci che possono essere pubblicati prima, durante o dopo un video, ma, secondo la ricerca della Coalition for Better Ads, ci sono tre esperienze di advertising che le persone trovano particolarmente dirompenti su contenuti video che durano meno di 8 minuti.

La prima è rappresentata dagli ad pre-roll lunghi e non “skippabili” o dai gruppi di annunci più lunghi di 31 secondi, che vengono visualizzati prima di un video e che non possono essere saltati entro i primi 5 secondi.

La seconda è costituita dagli ad mid-roll di qualsiasi durata che compaiono nel mezzo di un video, interrompendo l’esperienza dell’utente. Infine, la terza: immagini o testo che compaiono sopra un video in riproduzione e si trovano nel terzo centrale della finestra del player video o che coprono più del 20 percento dei contenuti video.

La Coalition for Better Ads ha richiesto ai proprietari di siti web di non mostrare più questi annunci ai visitatori entro i prossimi quattro mesi.

Google ha deciso di seguire i suggerimenti di questi standard aggiornati e ha annunciato che, a partire dal 5 agosto 2020Chrome interromperà la visualizzazione, sui siti di qualsiasi paese, di tutte le inserzioni pubblicitarie che mostrano ripetutamente questi ad che disturbano particolarmente gli utenti.

Google sottolinea anche che YouTube.com, come altri siti web con contenuti video, verrà esaminato per verificarne la conformità agli standard. Analogamente ai precedenti Better Ads Standards, Google aggiornerà inoltre i piani di prodotto sulle proprie piattaforme pubblicitarie, YouTube incluso. Inoltre Mountain View ha dichiarato di voler usare la ricerca come strumento di riferimento per lo sviluppo futuro dei prodotti.

Google suggerisce a chiunque gestisca un sito web che mostra annunci pubblicitari, di prendere in considerazione la compliance con questi standard aggiornati.

A tale scopo c’è anche Ad Experience Report, uno strumento online che fa parte dei webmaster tool di Google e che aiuta i publisher a capire se Chrome ha identificato esperienze pubblicitarie che violano gli standard, sul sito.

Fonte: 01.net

Instagram vuole mettere la pubblicità nei video di Igtv

Instagram è al lavoro su un meccanismo che consentirebbe di monetizzare i video caricati su Igtv. Scoperto da Jane Manchun Wong grazie alle sue magie tramite il reverse engineering, il programma è in fase di test interno e permetterebbe ai partner di Instagram di integrare nei video Igtv annunci pubblicitari a metà del filmato, esattamente come Facebook ha iniziato a fare da tempo.
Gli screenshot pubblicati da Wong mostrano che i partner di Instagram saranno in grado di “guadagnare saldi pubblicando brevi annunci sui video Igtv”. Finora i soldi guadagnati dalle star di Instagram arrivano esclusivamente da sponsorizzazioni con marche esterne al social network, che pagano gli influencer per far pubblicità ai loro prodotti.
La scelta di Instagram di aprire alla monetizzazione dei contenuti Igtv potrebbe essere una strategia utile per rilanciare uno dei formati meno amati del social network. Se però da un lato l’avvento della monetizzazione dei contenuti è una cosa positiva per chi lavora con il social network, l’inserimento di fastidiose pubblicità “non skippabili” all’interno di un contenuto video potrebbe essere motivo di allontanamento degli spettatori. Il meccanismo di monetizzazione è finora in fase di test e non è detto che sarà implementato definitivamente.
Continuiamo a esplorare modi per aiutare i creatori a monetizzare con Igtv. Non abbiamo più dettagli da condividere ora, ma lo faremo man mano che si svilupperanno ulteriormente”, ha commentato il responsabile delle comunicazioni di Facebook, Alexandru Voica, alla scoperta della Wong.
Fonte: Wired.it

L’impatto dei big data sulla comunicazione

Nuovi strumenti, a partire dai big data, e un sistema dell’informazione sempre più complesso. Con la reputazione che resta un bene essenziale per le aziende e la comunicazione che deve adeguarsi alle profonde trasformazioni in atto. Risponde alle nostre domande Giorgia Freddi, direttore comunicazione, Cr e public affairs di Axa Italia.

Come cambia la comunicazione nell’Era dei big data? 

Siamo eredi di un’epoca dove la comunicazione era concepita per dare a tutti lo stesso messaggio nello stesso modo, dove l’uniformità era il valore, presupponendo che l’interlocutore fosse un generico uomo, donna, o bambino i cui bisogni, desideri, interessi erano uniformi a quelli della propria categoria di appartenenza. Questa visione non corrisponde più alla realtà, la comunicazione non è più univoca e soprattutto non è più unidirezionale, ma è un processo condiviso e partecipato. Oggi dei nostri interlocutori non conosciamo solo le caratteristiche di genere, ma anche i precisi momenti esperienziali e soprattutto conosciamo il loro livello di ingaggio e gradimento rispetto a quello che noi stessi affermiamo e agiamo. In una parola quanto siamo stati rilevanti. La nostra vita interconnessa produce una enorme mole di dati che, se bene elaborati grazie ai big data, possono permetterci di avere capacità predittive e analitiche nuove e di agire con maggiore consapevolezza. Un’opportunità preziosa, che tuttavia porta con sé anche il rischio di dispersione e frammentarietà dei messaggi. Dunque, una sfida sempre crescente per noi comunicatori, a cui viene richiesto un maggiore sforzo di coerenza e consistenza dei contenuti, verso tutti gli stakeholders esterni e interni. 

 

Come si difende la reputazione di un’azienda in un sistema dell’informazione sempre più complesso? 

A differenza della notorietà che può essere raggiunta anche con una certa velocità usando con competenza la leva degli investimenti pubblicitari, la reputazione si conquista sul medio- lungo periodo attraverso un processo di coinvolgimento che soddisfa le aspettative e un bisogno di partecipazione degli stakeholder a 360 gradi. Bisogna continuamente alimentarla perché purtroppo basta un episodio per distruggerla e per questo credo che il differenziale in questa “difesa” sia la credibilità, ovvero puntare sulla qualità dei contenuti e fare quello che si dice. Per farsi scegliere oggi non basta avere un buon prodotto, circa il 40% della reputazione di un’azienda dipende dalla percezione relativa al suo ruolo sociale, i clienti orientano le loro decisioni non solo sulla base di prezzo e qualità, ma in base al riconoscimento nei valori dell’azienda, nell’etica quindi e nella responsabilità di impresa:ancora una volta se non c è coerenza tra valori ed azioni inutile pensare di essere considerati ‘ben reputati’. Per questo le aziende oggi hanno come obiettivo la reputazione e non più la notorietà, perché è un asset che integra il ruolo sociale dell’azienda, le scelte che opera in termini di sostenibilità e di inclusione, con il business. Questo è quello che proviamo a fare in Axa, un ‘purpose’ che è racchiuso nella nostra brand promise Know you can. Ovvero cerchiamo di aiutare le persone a realizzare le loro ambizioni di vita e contribuiamo a migliorare la società nella quale viviamo, con azioni concrete. Questo significa ad esempio sviluppare forme di protezione più inclusiva per nuove categorie di lavoratori, ma anche contribuire a progetti di riforestazione urbana, a sostegno della salute del pianeta e delle persone.  

 

Come sono cambiati i rapporti tra le diverse funzioni (comunicazione, marketing, Csr) all’interno delle aziende? 

Se dovessi scegliere una parola per sintetizzare questa relazione, direi integrazione. Fino a non molti anni fa, la comunicazione era intesa esclusivamente come una leva del mkt e la Csr era un nice to have, oggi l’approccio è decisamente cambiato, le tre funzioni sono divenute lanervatura di una visione strategica che integra la dimensione economica, umana e sociale. Si è creato un nuovo equilibrio dove paradossalmente nell’era del digitale il fattore umano acquista maggiore rilevanza, proprio grazie ai nuovi strumenti che la tecnologia ci offre. Oggi le emozioni influenzano più dei fatti e l’ingaggio emotivo avviene sul piano dei valori e dell’identità.  Maggiore sarà la nostra capacità di comunicare l’identità e i valori dell’azienda e l’impegno verso la società in cui operiamo e maggiore sarà l’attrattività e quindi la fiducia nei confronti del brand. Le aziende hanno capito questo cambio di paradigma e si stanno orientando sempre più verso strutture in grado di governare questa trasformazione. 

 

Come può essere misurata l’efficacia della comunicazione? 

La ‘misurazione’ è un alleato prezioso, una bussola che ci aiuta a tenere la rotta. Ho avuto e ho tuttora il privilegio di lavorare con manager illuminati che hanno sempre considerato la comunicazione come una materia misurabile, abituandomi ad un approccio quali quantitativo che cerco di trasferire ai miei team e che sto utilizzando anche in questa nuova sfida, coniugandolo con un linguaggio innovativo, funzionale a tradurre la visione strategica e la forte componente valoriale di Axa Italia. Questo concetto vale oggi più che mai, in quanto grazie alla rivoluzione digitale, la misurazione trova nuovi strumenti e nuovi spazi. La misurazione del sentiment si arricchisce di analytics sempre più di dettaglio, che misurano le visualizzazioni, l’engagement, le condivisioni, la fidelizzazione, aiutando noi comunicatori ad orientarci in un universo di sempre crescente complessità. Nel bene e nel male, la misurazione ci offre elementi concreti su cui riflettere per orientare le nostre scelte e migliorare il modo in cui prendiamo le nostre decisioni. Ci fa uscire dalla nostra autoreferenzialità, stimola il confronto e ci potenzia l’efficacia del binomio contenuto-relazione.

Fonte: Fortune Italia

YouTube limiterà la pubblicità nei video per i bambini

La piattaforma di proprietà di Google pone nuovi limiti sulla raccolta dei dati e sulla adv nei video destinati ai più piccoli

YouTube da oggi vara nuove regole per la tutela dei bambini, ponendo nuovi limiti sulla raccolta dei dati e sulla pubblicità.

YouTube ha annunciato che cercherà di distinguere meglio quali contenuti siano destinati ai bambini, basandosi su una combinazione di autoidentificazione dai creatori e di un software proprio. Ai creator la società ha iniziato a richiedere di comunicare esplicitamente se i video sono destinati ai bambini o meno.

Inoltre, YouTube ha specificato in una nota che i dati personali di chiunque guarda contenuti per bambini sulla piattaforma saranno trattati come se si fossero quelli di un minore, e questo a prescindere dall’età dell’utente.

I filmati destinati ai più piccoli non saranno accompagnati da pubblicità mirata, non potranno essere commentati e non presenteranno pop up che suggeriscono altri contenuti da vedere.

Con questa mossa, attesa da diverso tempo, la piattaforma di video sharing di proprietà di Google punta a rispondere alla richiesta della Federal Trade Commission, che ha accusato la società di violare il Children’s Online Privacy Protection Act, comminando alla società una multa a settembre.

Fonte: Engage.it

YouTube: rischio ban se usi Adblock per bloccare le pubblicità

YouTube bloccherà gli account che usano Adblock e altre estensioni per nascondere la pubblicità prima dei video. Ecco da quando scatta la decisione e cosa fare.

Bloccare le pubblicità su YouTube: un’esigenza richiesta da moltissimi utenti che non vogliono vedere spot e filmati invasivi prima di vedere un video. In molti aggirano i vari spot presenti sulla piattaforma utilizzando Adblock o atri plugin simili, ma presto Google potrebbe bloccare il vostro account Youtube se scegliete di affidarvi a questo sistema (che di fatto viola i termini e le condizioni della piattaforma di video streaming).

La notizia arriva dal noto portale tech GizChina, che parla di un ban per tutti gli account YouTube che si affidano a queste estensioni che permettono di nascondere le fastidiose pubblicità via browser.

Chi non le conosce? Appaiono prima di aprire il video desiderato e, in caso di filmati più lunghi, anche durante la sua stessa riproduzione. Ora però chi prova ad aggirare le pubblicità su YouTube si espone a rischi decisamente importanti.

YouTube: account sospeso per chi blocca le pubblcitià con AdBlock

Le inserzioni presenti online sono spesso una strada fondamentale per moltissimi portali, permettendo la monetizzazione attraverso la pubblicità.

C’è chi però proprio non sopporta di vedere e visualizzare spot e inserzioni tutto il giorno, navigando sul web, ed è per questo che esistono gli Adblock (preziosi strumenti che permettono di aggirare adv online su diversi portali).

Secondo quanto riportato però dal prossimo dicembre le nuove linee guida di YouTube potrebbero risolvere con una misura decisamente estrema questo problema: un ban perenne e impossibile da rimuovere per tutti gli utenti che useranno questo tipo di estensioni.

La nuova direttiva parla chiaro: “YouTube potrebbe impedire l’accesso, se ritiene e a sua esclusiva discrezione. La fruizione del servizio potrebbe non essere più commercialmente praticabile.”

Ma YouTube, come sappiamo, è parte integrante di Big G e quindi questo ban a vita potrebbe valere anche per chi utilizza Adblock per aggirare la pubblicità su altri servizi Google come Gmail e altri.

La nuova direttiva dovrebbe essere attiva da fine anno (10 dicembre 2019), ma dato la serietà con cui Google applica questo tipo di ripercussioni, che vanno in difesa dei creatori di contenuti, è meglio disattivare fin da subito Adblock o estensioni simili, in modo da prevenire spiacevoli sorprese.

In alternativa potete navigare senza essere loggati con il vostro account: in questo modo eviterete di perdere il vostro profilo e potrete nascondere le pubblicità senza alcun tipo di conseguenza.

Fonte: money.it